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Il Consiglio Regionale della Sardegna, nel riformare la legge elettorale, in seguito alla riduzione del numero dei consiglieri da 80 a 60, ha negato ai cittadini sardi la possibilità, peraltro facoltativa,  di esprimere una doppia preferenza di genere col loro voto.

 Il voto contrario è arrivato dopo acceso dibattito in aula nel corso di una seduta che si e’ conclusa con un voto segreto, grazie al quale è stato impedito alle donne di  vedere in faccia gli artefici di un vile mobbing di genere, di un mancato riequilibrio nelle istituzioni delle diverse rappresentanze sociali.

Nel silenzio e nel segreto del voto, una classe politica radicata al potere e non disposta a condividerlo con nessuno, ha bocciato la democrazia paritaria con 40 voti contrari alla doppia preferenza di genere e 34 favorevoli, dando così una risposta alla disaffezione sempre più crescente

nella politica, non più portavoce ed attore principale dei problemi reali e quotidiani delle persone.

A reti e testate giornalistiche unificate si parla a raffica di problemi di importanza marginale per la vita quotidiana di tutti, come se gli umori e pensieri dei politici potessero risolvere veramente mancanza di lavoro,  di welfare o assistenza sanitaria, violenza, inquinamento, giusto per citare solo alcune emergenze.

Purtroppo la classe politica sarda con questo voto trasversale si e’ beffata della necessità di cambiamento riproponendo vecchi schemi di  politica ammuffita, chiaramente fallita, ma che riesce a ricompattare una casta  contro il rinnovamento e continuare ad essere indisturbata attrice nella politica del potere regionale sardo.

Claudia Zuncheddu, consigliere regionale che ha partecipato alla accesa discussione in aula, racconta nel suo blog:

http://www.claudiazuncheddu.net/

La XIV Legislatura del Consiglio della RAS, resterà nella storia come al’artefice della più discriminante e antidemocratica Legge Regionale, fatta da legislatori sardi contro la società sarda, escludendo freddamente la presenza delle donne, delle minoranze politiche, dei movimenti indipendentisti e identitari.
Con la quota di sbarramento al 10% per lo coalizioni e al 5% per i partiti fuori dalle coalizioni (come può essere il caso dei partiti minoritari, identitari e indipendentisti, che per poter essere presenti nel Consiglio della RAS, sarebbero costretti ad aderire a coalizioni italiane, pena l’esclusione) e con la bocciatura della proposta della “doppia preferenza di genere”, tesa al riequilibrio delle rappresentanze dei sessi, si sta consumando un crimine contro la società sarda, escludendo parti importanti, contro i principi dello Statuto di Autonomia e della stessa legge Costituzionale italiana.
Con questa Legge la Sardegna perde un’occasione per dotarsi di uno strumento elettorale democratico e adeguato alle esigenze sociali di rappresentanza e partecipazione di tutta la società sarda. Questa “Legge killer”, fondata sull’esclusione e sulla discriminazione, introduce il bipolarismo italiano che aspira a un bipartitismo perfetto, quindi a un sistema sempre più oligarchico, che si contrappone alle peculiarità e diversità sarde ed è un ostacolo a una democrazia ampiamente partecipata, che aiuti la Sardegna a superare la crisi e abbia al centro gli interessi dei cittadini. Non ci può essere democrazia partecipata e paritaria senza che tutte le componenti sociali siano equamente rappresentate.
Con l’emendamento 13 all’Art. 27 presentato dal Consigliere Mario Diana del Centro Destra, che ha richiesto il voto segreto (secondo l’Art. 2 della legge 43/95) si è “celebrata” la vittoria di una oligarchia maschile, maschilista e autoritaria. La vecchia politica italiana in Sardegna, di fronte al fallimento del suo modello sociale ed economico, si blinda e si compatta attraverso accordi trasversali pur di continuare a detenere, manovrare e controllare il Potere, a discapito dei Sardi.
Oggi alla società Sarda, profondamente in crisi, viene negata ogni possibilità di rappresentanza, emancipazione e di autodeterminazione.
Nel “muretto a secco” del voto segreto, i 40 fautori di questa “democrazia formale vigilata”, pur di imporsi come i padroni incontrastati degli inciuci della Politica sarda, hanno soppresso i diritti civili delle minoranze politiche e delle donne. A loro resterà la responsabilità politica dell’affossamento di diritti sanciti e della carneficina della democrazia e della legalità in Sardegna. Ci riserviamo di intraprendere tutte le iniziative contro questa legge.
Che i sardi sappiano le verità.

La classe politica sarda con un voto segreto ha quindi rifiutato il contributo fondamentale delle donne  nelle istituzioni per iniziare a costruire un rinnovamento culturale e politico nella società, che purtroppo oggi appare improntata da una fortissima presenza maschile e, volontariamente o meno, maschilista.

Nella terra di Eleonora d’Arborea la massima istituzione dei sardi, il Consiglio Regionale, attualmente sono presenti solo 7 donne su 80  consiglieri e certo poco sorprende la conclusione del voto.

Viste alcune critiche che anche le donne fanno al progetto, la doppia preferenza,  non rappresenta una sorta di tutela o “di riserva” di posti istituzionali  ma vuole essere una direttiva antidiscriminatoria nei confronti delle donne.

Infatti la norma,  già  presente nelle elezioni comunali, si prefigge l’obiettivo di  superare il di ostacoli sociali e culturali che impediscono un impegno concreto delle donne nelle istituzioni, affinchè vengano portati all’attenzione del legislatore tutti gli ostacoli nel welfare che si frappongono fra la vita reale delle donne e l’attività politica, impedendone praticamente l’accesso.

“Volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali” la parità di genere e’ stata istituita con la  legge 23 novembre 2012, n. 215 applicata nelle elezioni comunali successive.

Benchè manchi una serie storica di dati, confrontando i dati delle ultime elezioni comunali dove e’ stata applicata la legge 215 si osserva chiaramente  un incremento del numero delle donne elette, pari almeno al doppio rispetto alle elezioni precedenti, in modo pressochè omogeneo in tutto il territorio nazionale.

rappresentanza femminile comunali

Molto c’e’ ancora da fare per raggiungere la parità democratica, molto e’ legato al ruolo che le donne assumeranno nei partiti politici e nella vita istituzionale, perchè sia applicato l’obiettivo dell’articolo 3 della costituzione della Repubblica:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 Chiaro esempio di principio costituzionale disatteso da una classe politica arroccata nei suoi privilegi ma che parla di crescita e di progresso.

Purtroppo per noi invece, stiamo scivolando indietro nella storia o giù, nel parallelo geografico.