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La crescita è una scelta politica, come l’austerità

18 mercoledì Set 2013

Posted by DonneViola in Lavoro, Stato di crisi

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disoccupazione, povertà, riccardo iacona

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Il costo sociale dell’austerità si è potuto toccare con mano nel servizio inchiesta di Iacona su RAI3, rara eccezione televisiva, visto che le baruffe quotidiane a cui assistiamo via digitale altro non nascondono se non un fatto tragico: nell’antico continente, il mondo delle rivoluzioni democratiche secolari, la povertà é  in progressivo e costante aumento.

Nel 2010 l’Europa si è impegnata a ridurre il numero di persone in condizioni di povertà e di esclusione sociale, ma, purtroppo,  nel solo 2011 ha creato circa quattro milioni di nuovi poveri!

Le politiche della Troika fatte da tagli sulla spesa sociale, tagli ai salari, tagli ai servizi sanità compresa, tagli e deregolamentazione del lavoro nei confronti dei paesi periferici, hanno gettato nella disperazione e nella povertà intere popolazioni col risultato che un numero sempre crescente di bambini vive in famiglie svantaggiate economicamente, un numero crescente di giovani non trova lavoro, sempre più vecchi vivono nell’indigenza e si assiste al fenomeno conosciuto dell’emigrazione con grave perdita patrimoniale dello Stato, per non parlare degli accessi alle mense della Caritas più che raddoppiato o della non fruizione del diritto alla salute per gli alti costi delle cure.

Viviamo in una Europa senza futuro e non deve sorprendere il progressivo indebitamento delle famiglie che si affidano ad usurai, all’azzardo ed ai compro-oro o ad agenzie di prestito, che si stanno moltiplicando in modo esponenziale in tutte le città.

In questo clima di instabilità ed incertezza economica e sociale non deve stupire la recrudescenza della violenza, domestica compresa.

Tutto questo dove ci porta?

E’ davvero l’austerità quella medicina servita in un calice amaro che ci porterà alla crescita ed al recupero dei diritti perduti?

Oppure l’austerità è una scelta politica?

Forse non saremo raffinati economisti ma basta guardarsi intorno per capire che queste politiche di tagli e ristrettezze altro non fanno che precludere sempre di più i diritti ai popoli: diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, ad una vita decorosa.

Un altro pericoloso e subdolo fenomeno a cui si assiste in Europa è  la disaffezione della popolazione ai partiti garanti delle democrazie, che invece avallano le politiche recessive, con la conseguente crescita di populismi, anche di estrema destra e di razzismo.

L’austerità non ha mantenuto le sue promesse, neppure in Italia:

  • l’83% delle famiglie fa economia sul cibo
  • 2,7 milioni di italiani cercano l’indipendenza alimentare coltivando ortaggi per uso personale
  • Il 65,8 per cento degli italiani risparmia sulla benzina ed il 42 per cento hanno dismesso l’auto.
  • 2,5 milioni di famiglie hanno venduto beni per integrare il reddito
  • Il Centro di Ricerca Innocenti dell’UNICEF attesta che tra il 2011 e il 2012 , la povertà relativa in Italia è aumentata, dal 16,2% al 20,1% soprattutto tra le famiglie con uno o più figli di età inferiore ai 18 anni.
  • Nel 2012, il 15,9 per cento degli italiani di età inferiore ai 17 anni  viveva in stato di povertà relativa, con una percentuale di povertà infantile superiore del 4,4 alla percentuale di povertà della popolazione generale .
  • L’Italia è un paese colpito da alti tassi di disuguaglianza, in cui 5% dei contribuenti più ricchi possiedono 22,9 % del reddito complessivo.
  • Tra il 2011 e il 2012, la disoccupazione è salita dall’ 8,4% al 10,7% e la sua incidenza è stata più sensibile al sud (17%)
  • Nella prima parte del 2013 la disoccupazione tra i 15-24 anni ha raggiunto il 41,9%
  • Gli occupati con contratto a tempo pieno sono scesi del 2,2% mentre i contratti part-time sono cresciuti del 60%
  • Nel 2012, quasi un milione di famiglie sono risultate senza alcun reddito e, secondo l’Istat, il loro numero è più che raddoppiato dal 2007 con un aumento del 24,3%. La maggior parte di queste famiglie si affidano alla pensione di un loro membro, o a lavori temporanei e neri. Negli ultimi cinque anni lo Stato ha tagliato i sussidi per gli interventi sociali del 75% passando da 923mil. €  nel  2008 a  69 milioni € nel 2012.
  • Il Fondo per l’ assistenza a lungo termine, il cui bilancio era di  400mil € nel 2010, non è stato rifinanziato. Ulteriori tagli sono stati fatti per il Fondo per le politiche della famiglia (da  185,3 milioni € a  31 milioni €) e dal Fondo per le Politiche Giovanili.
  • I comuni italiani hanno ridotto del 3,6% la spesa sociale nel 2012 del 3,6.

L’unica successo dell’austerità o quindi è la decimazione dei servizi pubblici e la riduzione della protezione sociale, con una unica certezza: a soffrire saranno i poveri.

Oxfam, che fornisce i dati che abbiamo esposto, ritiene che, se l’Europa proseguirà con queste politiche di austerità 15-25.000.000 persone in tutta Europa potrebbero dover affrontare la prospettiva di vivere in povertà entro il 2025.

 

Ai frequentatori dei salotti televisivi, ai finanzieri finanziatori che li affollano ed ai politici che li sostengono, noi diciamo che la crescita è certamente una buona cosa ma non deve essere utilizzata come un ricatto per proseguire nelle misure di austerità e di perdita dei diritti.

Non si possono considerare buona cosa:

  • la crescita del numero dei compro oro, agenzie di prestito e sale dell’azzardo
  • la crescita del numero delle persone indebitate
  • la crescita dei suicidi economici la crescita della fila di persone che affollano le mense della Caritas
  • la crescita del consumo di antidepressivi
  • la crescita del numero di persone che non accede ai servizi di cura
  • la crescita dei guadagni di pochi
  • la crescita della disoccupazione
  • la crescita delle persone in povertà per lavoro sottopagato
  • la crescita dello sfruttamento e del ricatto sui posti di lavoro

Cresce un popolo istruito e consapevole che non lascia dietro i più fragili

Cresce un popolo che ha dignità e la schiena dritta

Cresce un popolo i cui governanti difendono il proprio popolo e non la finanza internazionale

Crescita è lavoro e non finanza

 

La Crescita è una scelta politica, come l’austerità ed è questa che chiediamo ai governi, affinchè rimangano solo testimonianza del passato le storie di popolazioni affamate e private dei diritti fondamentali.

 

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Quale altra forma di finanziamento?

29 giovedì Nov 2012

Posted by DonneViola in Stato di crisi

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articolo 32 della costituzione, primari ospedalieri, sistema sanitario nazionale, tutela della salute

La salute viene defini­ta dall’Organizzazione mondiale della sanità come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solamente l’assenza di malattia o di inabilità“, una condizione di armonico equili­brio funzionale, fisico e psichico dell’organismo dinami­camente integrato nel suo ambiente naturale e sociale.

La tutela della salute, bene primario per eccellenza, ha visto nel corso degli anni, ad iniziare dall’articolo 32 della costituzione, l’attuazione di norme e leggi che hanno portato ad un vero e proprio sistema compiuto ed organizzato su tutto il territorio nazionali.

Il sistema sanitario nazionale nasce in Italia con la legge 833/78 con la quale veniva sancito il diritto alla cura omogeneo in tutto il territorio nazionale e fruibile da chiunque in tutte le strutture.

Questa legge e’ stata innovativa e rivoluzionaria ed ha portato il sistema del welfare italiano ad essere tra i più avanzati e citati come esempio nel mondo.

Nel 1992 con la legge 502 nascono le Aziende sanitarie ospedaliere con l’intento di ottimizzare la rete territorio-ospedali ma che hanno creato quello strano connubio fra sanità e politica in quanto prevedevano al vertice aziendale la figura di un manager di nomina politica incaricato della nomina dei primari ospedalieri.

Certamente molti politici ed amministratori hanno gestito in modo virtuoso il bene pubblico ma purtroppo i fatti di cronaca attuali hanno focalizzato l’attenzione su fatti di corruzione e clientelismo che gettano discredito sul sistema a causa dello sperpero inaudito dei fondi pubblici.

Il rapporto sull’adempimento del mantenimento dei Livelli essenziali di assistenza relativo al 2009 ha dimostrato che solo 8 regioni italiane (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Marche, Piemonte, Umbria, Veneto e Liguria) sono state in grado di garantire al 100% prestazioni e servizi sanitari.

Secondo il rapporto OCSE Health Data 2011 la spesa sanitaria corre più del pil, ha raggiunto nel 2009 il 9,5% del Pil essendo più alta nei Paesi più colpiti dalla crisi economica. OECD Health Data 2011

L’Italia secondo il rapporto dedica alla spesa sanitaria pari al 9,5% del PIL, che rientra nella media Ocse. La crisi economica ha visto una crescita della percentuale di Pil dedicato alla spesa sanitaria che è passato dall’ 8,7% nel 2007, al 9,0% nel 2008 e 9,5% nel 2009.

I dati di spesa in rapporto al PIL di per se hanno uno scarso significato poiché giustificherebbero ingenti spese nei paesi ricchi che possono quindi indirizzare spese ingenti verso la sanità.

Infatti guardando i valori di spesa sanitaria italiana, il gap rispetto all’Europa è evidente e anche crescente: -26,1% (-16,9% nel 1990) rispetto agli altri Paesi di EU6 (Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi) e -18,7% (+4,1% nel 1990) rispetto a EU12. Vengono quindi a mancare dati che dimostrano l’inefficienza italiana in termini di spesa sanitatia .

Infatti la spesa sanitaria pubblica italiana è inferiore a quella tedesca e francese e, nonstante cio’ secondo la World Health Organization, l’Italia fa in realtà meglio della Germania, spendendo meno ed offrendo servizi sanitari migliori

Per quanto riguarda la spesa farmaceutica uno studio dell’UK Department of Health mostra come i prezzi delle principali molecole in Italia siano inferiori da un minimo del 7% rispetto alla Francia e alla Spagna, ad un massimo del 41% rispetto alla Germania.

Quindi l’Italia da anni segue un percorso virtuoso per la sanità (statisticamente provato), spendendo quanto il livello di sviluppo economico ha “permesso” di spendere.

Noi tutti assistiamo ad un progressivo deperimento della quantità e della qualità delle prestazioni del servizio pubblico, che può essere rilevato anche solo osservando un intollerabile allungamento delle liste d’attesa, un aumento dei ricoveri in regime di emergenza nelle strutture ospedaliere conseguente alla diminuzione dei servizi e della prevenzione nei territori.

I nuovi tickets dovrebbero incidere per circa 2mld sui bilanci degli italiani (per il 45% a carico dei farmaci, per il 45% della specialistica e il restante 10% a carico del pronto soccorso) e che porterebbe all’impoverimento per spese sanitarie di circa 42.000 nuove famiglie .

Tutte le manovre di ottimizzazione delle spese sanitarie hanno portato ad una riduzione drammatica dei posti letto per degenza ordinaria che sono passati da circa 328.000 nel 1997 a 221.176 nel 2008.

Anche il numero delle strutture di ricovero, pubbliche e private accreditate si è costantemente ridotto da 942 nel 1997 a 638 nel 2008 ed il personale dipendente è complessivamente diminuito dell’1,8% nel periodo 1998-2008 ed un numero considerevole e’ precario.

Dopo questa premessa riportiamo le parole pronunciate ieri dal Presidente del Consiglio

«Abbiamo la consapevolezza di vivere un momento difficile. La crisi ha colpito tutti e ha impartito lezioni a tutti. È importante riflettere sulle lezioni impartite dalla crisi. Il campo medico non è un’eccezione. Le proiezioni di crescita economica e quelle di invecchiamento della popolazione mostrano che la sostenibilità futura dei sistemi sanitari, incluso il nostro Servizio Sanitario Nazionale – di cui andiamo fieri e a cui il ministro Balduzzi lavora tanto incisivamente per migliorarlo ulteriormente – potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento e di organizzazione dei servizi e delle prestazioni»

Cio’ dopo tre anni di tagli lineari al sistema sanitario che ammontano a circa 25 miliardi di euro e che hanno messo in una situazione critica e vegognosa i disabili, dopo il taglio del sostegno di 400 milioni di euro, oltre ad essere stati causa di ritardi diagnostici o di ricoveri differiti o in situazioni logistiche critiche.

Il Presidente non ha parlato di ottimizzazione del Sistema Sanitario, sollecitando la ricerca delle aree di sperpero di denaro pubblico, di corruzione e di clientelismo, al fine di modulare la presenza di servizi in base alle necessità, visto che i dati statistici evidenziano una progressiva variazione demografica in seguito al progressivo invecchiamento della popolazione.

Né il presidente ha parlato di tagli agli sprechi enormi che si osservano in tutti i settori della pubblica amministrazione che si leggono quotidianamente.

Una buona amministrazione riesce a risparmiare ed indirizzare le spese proprio dove sono necessarie.

Non si possono violare diritti primari come e’ quello alla salute quando si salvano banche, si fanno guerre ed esercitazioni militari in ogni dove e si trovano mille cavilli per non far pagare le tasse a evasori, banche ed istituti religiosi.

Forse però il Presidente del Consiglio sta cercando di comunicarci la transizione del sistema sanitario pubblico verso una forma privata con grande gioia dei manager delle assicurazioni e delle case di cura.

Però si deve ricordare che la sanità noi italiani la paghiamo gia’ adesso sia con le tasse che sui ticket sulle prestazioni.

Quale altra forma di finanziamento ha in mente?

Chissa’ forse ci vuole lasciare col bel ricordo dei prestiti europei che immaginiamo si appresterà a richiedere quanto prima, per poterci permettere questo sistema sanitario, lasciandoci nelle mani di gente senza scrupoli.

In sintesi una cosa e’ certa: Mario Monti sta facendo di tutto per essere ricordato dagli italiani

Rigore crescita ed equità

Da un anno vediamo sempre e solo il primo dei tre citati

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un referendum per abrogare le modifiche all’articolo 18

11 martedì Set 2012

Posted by DonneViola in Lavoro, Stato di crisi

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articolo 18, Fornero

C’era chi si complimentava con il ministro Fornero per la modifica riuscita dell‘articolo 18.

Vorremmo far incontrare loro in queste settimane le persone licenziate dalle loro aziende per un motivo economico.

Ci piacerebbe che quelle persone ci parlassero, che sentissero il senso di frustrazione che si avverte nel profondo quando si subisce un’ingiustizia legalizzata.
Con la modifica dell’articolo 18, nel caso il lavoratore faccia ricorso e la motivazione economica dovesse risultare non del tutto valida, non ci sarà obbligo di reintegro ma solo un indennizzo dalle sei alle ventiquattro mensilità.

Solo se il giudice riscontrerà la mancanza di manifeste motivazioni potrà scattare l’ obbligo di reintegro.
È chiaro che in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo oggi qualsiasi azienda troverà la strada spianata nel dimostrare una flessione o un calo del lavoro che giustifichi un licenziamento effettuato magari per tutt’altro motivo.
È capitato a Roma a due dipendenti del colosso delle telecomunicazioni Huwaei.
È capitato a Milano a un giornalista di Tecnomovie riassunto con articolo 18, licenziato con nuova norma.
È capitato purtroppo ad altre persone le cui storie al momento sono ancora sommerse.
Capiterà di nuovo e la notizia di oggi che indica un’ulteriore flessione del pil rafforza questa nostra convinzione.
Per questo riteniamo che sia più che mai necessario vigilare su questi abusi legalizzati e darne testimonianza.
Ognuno di noi domani potrà essere licenziato perché la propria azienda entra in crisi.
E non ci si venga a raccontare che al dipendente dismesso verrà riconosciuto un indennizzo perché si sa benissimo quali sono i tempi e le modalità di queste controversie.
E non tutti hanno la forza per affrontare questo iter.
Di favole ne abbiamo già sentite abbastanza e nessuna di queste è stata a lieto fine.
Tra le tante riforme che in questi anni hanno tolto la dignità al lavoro questa è stata una delle peggiori.
In un periodo di crisi, dove la disoccupazione tocca i massimi storici, dare la possibilità di far licenziare i lavoratori non ci sembra un incentivo all’occupazione.
Ci sembra un ulteriore punizione inflitta a un popolo che chiede solo di esercitare il proprio dovere in una situazione di diritto, che chiede semplicemente di poter lavorare.
Per questo sosterremo i referendum che chiedono l’abolizione di questa riforma.
L’articolo 1 della nostra costituzione ha ancora senso per noi.
Non permetteremo a nessuno di farci vivere in una repubblica fondata sul licenziamento facile e il sopruso legalizzato.

Il post originale sul sito di Articolo21:

http://www.articolo21.org/2012/09/un-referendum-per-abrogare-le-riforme-allarticolo-18/

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