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#SaveYarmouk Restiamo Umani

07 martedì Apr 2015

Posted by DonneViola in Indignarsi non basta, Mondo

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Yarmouk

Yarmouk

Non si può rimanere in silenzio di fronte a quanto sta accadendo a Yarmouk.

“Per sapere cosa sta succedendo a Yarmouk, interrompete l’elettricità, l’acqua, il riscaldamento, mangiate una volta al giorno, vivete nell’oscurità e riscaldatavi al fuoco di un falò.”

Queste sono le parole di Anas, un abitante del campo profughi, e proprio queste parole descrivono precisamente la situazione all’interno del campo che coinvolge migliaia di civili innocenti.

Chris Gunness, un portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) definisce la situazione del campo profughi al di là del disumano.

Da quando sono cominciati gli scontri ad Yamouk non riescono più ad entrare né acqua né cibo.

Su Twitter è partito l’hashtag #saveyarmouk, un appello per i profughi che rischiano la morte per fame e la solitudine internazionale. La rete Palestinian Network of Civil Society in Syria denuncia che da tre anni le truppe governative hanno assediato il campo, rendendolo “una prigione a cielo aperto”. A questa situazione recentemente si era aggiunto l’imperversare dei miliziani di Jabhat Al Nusra.

Il primo aprile i guerriglieri del Califfato sono riusciti a entrare nel campo e ora, secondo fonti palestinesi siriane, tengono in pugno la maggior parte del quartiere seminando il terrore tra i palestinesi. I miliziani dello Stato islamico hanno anche fatto saltare in aria la chiesa della Vergine Maria di Tel Nasri, nella provincia di Hassaka, nord della Siria.

Fonte: http://www.huffingtonpost.it/2015/04/06/palestinesi-fuga-yarmouk_n_7009408.html?

Andrea Iacomini, portavoce Unicef, in questi giorni sta compiendo una forte opera di sensibilizzazione nei confronti di questa situazione disumana:

Tra i 18000 civili circa rimasti a #Yarmouk 3500 sono bambini. Fate voi.

Queste alcune testimonianze dal sito UNRWA.

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Un bambino malnutrito piange sulla via principale di Yarmouk a febbraio 2014. © UNRWA Photo by Rami Al Sayed4

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Le strade distrutte di Yarmouk. © UNRWA

Uniamoci, facciamo rete, non restiamo indifferenti.

Come ci direbbe Vittorio Arrigoni RESTIAMO UMANI.

#SaveYarmouk

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Le donne (non) possono ridere in pubblico

30 mercoledì Lug 2014

Posted by DonneViola in Mondo

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#kahkaha, Turchia

kahkaka

Centinaia di donne, in queste ore,  stanno pubblicando foto di sé stesse mentre ridono per protestare contro l’ affermazione del vice premier della Turchia  Bülent Arin che sostiene che le donne non dovrebbero ridere in pubblico.

La dichiarazione esatta è questa: “[la donna] si sa che cosa è haram [permesso] e non haram [proibito]. Lei non riderà in pubblico. Non sarà invitante nei suoi atteggiamenti e proteggerà la sua castità “.

Tantissime le foto postate su twitter e instagram con l’hashtag #kahkaha

I'm a Turkish girl, 26 years old, and I can't do anything but Smile!! #kahkaha #direnkahkaha #Bulentarinc pic.twitter.com/nEi4he1L2x

— Esra Kansu (@esrakansu) July 30, 2014

 

Uniamoci pure noi #kahkaha

Una risata ci salverà la vita 🙂

 

 

 

 

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Il diritto all’istruzione di tutti i bambini #PlanItalia

06 venerdì Giu 2014

Posted by DonneViola in #NoViolenza #Donne, Mondo

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istruzione, Plan Italia

plan1

 

No, nel mondo i bambini e le bambine non sono tutti uguali.

In troppe parti del globo infatti i bambini e le bambine non hanno accesso all’istruzione.

Per questo ringraziamo di cuore Plan per averci contattato e averci illustrato con cura il lavoro che l’associazione svolge quotidianamente per cercare di fornire a tutti i minori l’accesso all’istruzione.

Solo partendo dall’istruzione infatti si possono contrastare pratiche come i matrimoni precoci, le infibulazioni, le violenze domestiche, lo schiavismo a cui purtroppo ancora molti, troppi bambini sono sottoposti.

Per chi volesse approfondire maggiormente questo argomento Plan ha dedicato questa sezione, in cui è inserito il dossier che vi linkiamo sotto, consultabile da tutti.

http://www.plan-italia.org/dossier/

Citiamo solo alcuni dati:

Nel mondo 57 milioni di bambini e bambine non hanno accesso alla scuola primaria, e di questi 30 milioni sono bambine.

Se si analizza il tasso di compimento degli studi, poi, si nota che quello delle bambine è molto più basso rispetto a quello dei bambini.

Oltre a questo, si contano nel mondo 65 milioni di bambine che non hanno alcun accesso all’istruzione, nè primaria, nè secondaria.

Le bambine prive di istruzione hanno tre volte più probabilità di sposarsi prima dei 18 anni rispetto a quelle che hanno finito la scuola secondaria, per cui il ciclo della povertà non si interrompe.

Le ricerche Plan (Report Because I am a girl 2012)  dimostrano che, se le adolescenti frequentano la scuola e acquisiscono vere abilità, troveranno un lavoro migliore e migliori guadagni, si sposeranno più tardi e avranno meno figli e più sani.

Ogni giorno nei paesi in via di sviluppo 39.000 bambine si sposano. Una su tre ha meno di 18 anni, una su nove ha meno di 15 anni.

Ogni anno 13,7 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni partoriscono; le complicazioni durante il parto o la gravidanza sono le principali cause di morte per le ragazze di quell’ età.

plan2

Queste sono alcune delle storie raccolte da Plan, che ci fanno comprendere ancora di più la portata drammatica delle situazioni che si trovano a vivere troppi bambini e bambine.

Spose bambine: la storia di May, barattata dal fratello
Venduta dalla propria famiglia in cambio di pochi soldi e alcolici

La tragica storia di May si consuma in Ha Giang, provincia del Vietnam caratterizzata all’apparenza da un’atmosfera paradisiaca. Il luogo è infatti immerso in una vegetazione florida che ricopre colline e montagne, i corsi d’acqua abbondano e a fine estate il giallo vivo delle spighe di riso ricopre e colora i terrazzamenti. Eppure la bellezza di questo paesaggio si contrappone fortemente alla crudeltà racchiusa nelle storie che vedono protagoniste giovani ragazze come May che vengono date in sposa contro la propria volontà. Ogni giorno, nel mondo, sono circa 39.000 le bambine che si sposano.
Alcune di loro riescono a uscire da questa orribile condizione e a testimoniare le violenze subite, altre come May non hanno l’occasione e la forza di ribellarsi, pur coltivando il sogno di una vita fondata sulla libertà di poter scegliere del proprio futuro.
La tragedia di May ha inizio in un giorno qualunque, durante il tragitto che la porta a scuola. La bambina viene “scelta” e rapita da un ragazzo accompagnato da altri tre uomini.
La speranza di essere liberata svanisce quando, tre giorni dopo il rapimento, suo fratello scopre il luogo dove è tenuta prigioniera e invece di battersi per riportarla a casa, cede ad una proposta di baratto da parte del rapitore che gli offre alcune bottiglie di alcolici e qualche soldo in cambio della sorella.
Costretta a sposare il proprio rapitore con il benestare della sua famiglia, la storia di May è quella di una bambina venduta come fosse un oggetto da chi invece dovrebbe tutelarla.
Come May, tutte le bambine costrette a matrimoni precoci sono potenziali vittime di violenze fisiche e psicologiche, nonché maggiormente esposte a rischi sanitari. A loro è spesso preclusa la possibilità di continuare gli studi e di divenire donne emancipate e libere.

Violenze a scuola: quando imparare fa paura alle bambine
 
La forza di Ya Marie Jah nel testimoniare davanti alla Commissione delle Nazioni Unitesulla Condizione delle Donne
Ya Marie Jah è una ragazza della Sierra Leone che è stata vittima di violenze da parte del proprio insegnante per un semplice ritardo.
Tutte le mattine, prima di recarsi a scuola la bambina era solita aiutare la mamma a prendere l’acqua dal pozzo, attività che un giorno l’ha portata ad arrivare a lezione in ritardo. “Il mio insegnante per punizione mi ha costretta a camminare sulle ginocchia dal cancello dell’edificio alla mia classe. Avevo le ginocchia coperte di sangue, le calze sporche di terra e sangue ed ero dolorante”.
Ya Marie Jah racconta quanto accaduto alla madre supplicandola di non mandarla più a scuola, ma la donna cerca di tranquillizzarla e di farle capire l’importanza di continuare a studiare. La bambina l’ascolta e torna a scuola, coltivando però una profonda paura nei confronti del suo professore.
Il coraggio di testimoniare è il risultato di un percorso intrapreso da Ya Marie Jah con un membro di Plan che lavora nel suo villaggio, volto ad accrescerne l’autostima e la forza interore. E così nel 2011 la bambina ha portato la sua testimonianza davanti alla Commissione delle Nazioni Unite sulla Condizione delle Donne.
Il suo è un piccolo contributo nella battaglia portata avanti ogni giorno da uomini e donne per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale ed arginare il fenomeno delle violenze a scuola, radicato nelle realtà di molti Paesi.

Bambini sfruttati: Geeta, la ragazza Kamalari
Una storia attuale di schiavismo legalizzato
Geeta è una bambina che vive in Nepal, paese noto per il fenomeno di schiavismo legale chiamato sistema Kamalari, largamente diffuso tra la popolazione. Una bambina o ragazza Kamalari è una domestica che presta servizio in una casa di benestanti dopo essere stata ceduta dalla sua famiglia sulla base di un contratto orale. La sua condizione è, di fatto, quella di una schiava. Il fenomeno non riguarda solo il Nepal, ma è diffuso in molti altri paesi.
Per sette anni Geeta è stata privata del diritto di vivere la spensieratezza tipica della sua giovane età, al riparo da abusi e violenze, e costretta ad adattarsi alla condizione di ragazza Kamalari a causa della povertà estrema in cui si trova la sua famiglia, di etnia Tharu.
Il progetto di Plan per l’abolizione del sistema Kamalari ha contribuito a far prendere al Governo nepalese la decisione di porre fine a questa forma di sfruttamento infantile con una legge del 19 luglio 2013.
Il lavoro portato avanti dalla Onlus insieme a Geeta e ad altre ragazzine come lei, l’ha aiutata a lasciarsi alle spalle la triste vicenda che l’ha coinvolta in prima persona e ha dato nuova linfa ai suoi sogni per un futuro dignitoso.

Studiare per uscire dalla povertà: la storia di Alima
La bambina del Senegal che sogna di diventare insegnante
Alima ha 7 anni e vive in Senegal. Lei è una delle poche bambine “fortunate” nell’area, perché i suoi genitori possono permettersi (per il momento) di mandarla a scuola. Il suo obiettivo è “imparare a leggere bene”, come lei stessa racconta, per coronare il sogno di diventare, un domani, insegnante.
La bambina ha iniziato la prima elementare da qualche mese e si dice affascinata dalla quantità di libri che ci sono a scuola. A casa ne aveva uno, ma a forza di sfogliarlo si è rovinato tutto e i suoi genitori non possono permettersi di comprargliene uno nuovo.

Molte sue coetanee non riescono a completare la scuola primaria e smettono quando il denaro in casa diventa insufficiente, costrette a lavorare per aiutare la propria famiglia.
Anche Alima da una mano in casa visto che è lei la maggiore di quattro fratelli. Mentre il papà è al mercato dove vende diversi articoli, Alima aiuta la mamma a cucinare, lavare i piatti e ad accudire il più piccolo dei fratellini. “Sto imparando a portarlo sulla schiena – dice – è un po’ pesante ma va bene”.

Nonostante l’amore per lo studio c’è qualcosa che spaventa Alima: le violenze che spesso subiscono le ragazzine che vanno a scuola da parte dei propri insegnanti ma anche il percorso per raggiungere l’istituto, ricco di ostacoli e pericoli. “Ho paura di essere sola per le strade”, dice.

Il maltrattamento delle bambine – a scuola o durante il tragitto per raggiungerla – è un altro motivo per cui molte ragazze abbandonano gli studi. La violenza sessuale non è rara in Senegal e alcune scuole utilizzano ancora oggi le punizioni corporali.

Nonostante in Senegal le bambine siano considerate meno preziose dei ragazzi Alima continua a studiare, anche grazie al lavoro portato avanti da Plan nell’area e in particolar modo nella sua scuola, convinta che l’istruzione possa aiutarla ad uscire dalla povertà.

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